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Massimo Recalcati a Filosofi lungo l'Oglio

La parola ai filosofi!

Massimo Recalcati a Orzinuovi

Una lezione su lutto e nostalgia!

Mercoledì 21 giugno a Orzinuovi, in una piazza Garibaldi gremita di persone, ho avuto il piacere di ascoltare Massimo Recalcati, filosofo e psicoanalista di formazione lacaniana, che ha tenuto una importante e a tratti commovente lezione su una tematica che sembra ormai avulsa da ogni contesto: lutto e nostalgia, due parole chiave del suo ultimo libro La luce delle stelle morte.

È stato un po’ come tornare indietro nel tempo per me assistere a questa serata nell'ambito della prestigiosa rassegna Filosofi lungo l'Oglio,riconoscere nella voce e nei gesti del mio Maestro un Incontro fondamentale per la mia formazione, negli anni della mia giovinezza, quando sedevo in aule altrettanto gremite all’università di Bergamo, con gli studenti assiepati ovunque, molti seduti per terra, pur di ascoltare le sue lezioni di Psicologia dell’arte e della letteratura. Anche nella piazza della mia Orzinuovi ho assistito alla stessa magia, con molte persone, anche di una certa età, sistemate alla bell’e meglio sui sanpietrini (di certo non confortevoli) antistanti il palco pur di essere lì e sentire le parole di Recalcati.

Parole che hanno saputo dare voce ad uno dei temi più “scabrosi” e "osceni" della vita umana, che tuttavia ci riguarda tutti, nessuno escluso: l’esperienza della morte dell’Altro, che ci porta necessariamente a fare i conti con la nostra di morte, di noi che tra tutti gli esseri viventi siamo gli unici che contano i giorni che ci separano da quel trapasso in una dimensione ignota e spaventosa.

Per spiegare come dovrebbe funzionare il lavoro del lutto Recalcati ha citato dapprima un passo di Così parlò Zarathustra e poi l’introduzione a La Gaia Scienza del filosofo tedesco Friedrich Nietzsche. Ha infatti descritto con fervore il momento in cui Zarathustra, durante uno spettacolo circense, assiste alla caduta di un funambolo a terra e lo veglia negli ultimi attimi di vita. Unico, in tutta la folla, il filosofo persiano decide di caricarsi il morto sulle spalle e, “ingombrato” da questo peso che lo schiaccia, compie un lungo viaggio, di notte, al buio, nel bosco, finché all’alba si sgrava del corpo del defunto e lo deposita entro un tronco, nel cavo di un albero, di modo che divenga linfa per una vita nuova. Come quella portata dal vento del sud, citato ne La Gaia Scienza, che scioglie il freddo dell’inverno e ridona vigore e vivacità.

Il lavoro del lutto è gravoso e richiede tempo, memoria e accettazione del dolore. Per elaborare una perdita definitiva e tornare alla leggerezza e alla voglia di vivere dopo un trauma così devastante, che richiede una ri-organizzazione del proprio universo emotivo, che compromette l’intera esistenza del soggetto, serve compiere questo viaggio, come ci insegna Zarathustra. Se lo si evita si rischia una deriva maniacale, sintomatica dei nostri tempi, che tampona la perdita con una immediata sostituzione della persona amata che non c’è più e se si rimane eccessivamente attaccati all’oggetto perduto si viene risucchiati in una spirale malinconica, che non concede scampo.

Il lavoro del lutto, se compiuto, dovrebbe portarci a una nuova vita, più piena, perché carica della gratitudine per tutto ciò che abbiamo vissuto, per tutte le persone che abbiamo incontrato, per tutte le gioie e i dolori che abbiamo affrontato, perché ci hanno resi quello che siamo. È questa forma di “nostalgia-gratitudine”, diversa e opposta rispetto alla "nostalgia-rimpianto”, come la chiama Recalcati, la chiave per mantenere un legame con ciò che è stato e che non può più tornare. La nostalgia-gratitudine è quanto di più audace possiamo osare con la morte perché non ci porta a guardare indietro, ma ci visita, ci raggiunge da davanti, nella riemersione di ricordi che diventano parte di noi. Solo così potremo portare con noi i nostri morti, farli essere linfa viva e non urna, come auspicava nel suo biglietto di addio il grande filosofo Jean-Luc Nancy.

Il 21 giugno quest’anno è stato anche il giorno della prima prova dell’esame di maturità e in chiusura Recalcati ha parlato dell’importanza dei Maestri, degli incontri che permettono alle nostre vite di prendere strade fino ad allora impensate, permettendoci di reinventarci in maniera inedita e ha raccontato, con commozione e trasporto, della sua insegnante di lettere a cui è dedicato il suo volume L’ora di lezione. Per un’erotica dell’insegnamento. Giulia Terzaghi è stata una supplente che gli ha “salvato la vita” negli anni degli studi superiori, che lui ha vissuto in un istituto professionale agrario del quartiere milanese di Quarto Oggiaro, in una classe di soli maschi, preparati a divenire esperti di coltivazione di piante tropicali in serre calde. Questa insegnante, così bella, così pulita, così appassionata, lo ha educato alla poesia, alla letteratura, al potere salvifico della parola. Forse per questo ha scelto di svolgere poi una professione dove la cura passa attraverso l’accoglienza della parola. Quando ha deciso di rincontrarla, per i suoi 50 anni, ha scoperto che Giulia non c’era più e ha dovuto fare i conti con questo lutto. Da qui la riemersione di un ricordo legato proprio al tema di maturità, incentrato sull’opera di Giovanni Verga. L’unico consiglio che la sua insegnante gli ha dato in quella occasione è stato: “Massimo, resta lucido!”, un invito a non strafare, ma a rimanere semplicemente sé stesso. Una frase che è tornata a visitare lo psicoanalista in molti momenti topici della sua esistenza. Un monito che lui ha esteso a noi seduti nel pubblico, per salutarci con lo stile di un Maestro che resta per me insostituibile: “Restate lucidi!”.

 


Parlare di morte oggi è una oscenità!
Massimo Recalcati

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