Un amore, due destini!
Mileva e Albert Einstein: una roccia inghiottita da un abisso
Recensione al romanzo di Slavenka Drakulić
Può un incontro rivelarsi fatale conducendo a due destini opposti: verso le altezze della fama da una parte e l’abisso dell’annullamento dall’altra? Può succedere questo a due anime affini che si sono amate e sostenute a vicenda, sentendosi veramente autentiche nella loro unione fino a quando uno dei due, emancipatosi da questo bisogno di riconoscimento, arriva ad annientare l’altro senza alcun debito di riconoscenza? La narrazione della vicenda di amore e abbandono di Mileva Einstein ci dice che sì, purtroppo è possibile.
Mileva Einstein. Teoria sul dolore di Slavenka Drakulić, edito Bottega Errante Edizioni, racconta, dal punto di vista della ex moglie del Premio Nobel per la fisica, la storia di un amore tradito e rinnegato nelle sue fondamenta, rivelando fino a che punto una donna intelligente e determinata a volersi affermare nel campo delle scienza, emancipandosi dal proprio handicap fisico, la zoppia, e dai ruoli che una vita a Novi Sad senza istruzione le avrebbe affibbiato, si sia annullata e lasciata umiliare e annientare dal dolore del rifiuto e dal senso del proprio fallimento, finendo per tradire la propria natura e incarnare proprio quei ruoli da cui avrebbe voluto affrancarsi: quelli di serva e di madre.
Mileva Marić, dal momento in cui divenne Mileva Einstein, visse in funzione di quell’uomo con cui inizialmente sentì di poter creare un sodalizio intellettuale che la appagava e la faceva sentire accolta nella sua singolarità di donna che, seppur non proprio avvenente, fu una delle prime ad entrare al Politecnico di Zurigo per studiare fisica e realizzare il desiderio del padre che la incoraggiava dicendole: “Devi trovare un modo per dimostrare quanto vali!”.
Ma a che prezzo una donna, soprattutto nel secolo scorso, avrebbe dovuto pagare la scelta di essere, oltre che studiosa, moglie e madre? Quanto i ruoli di angelo del focolare e balia la avrebbero assorbita e distolta dai suoi obiettivi, relegandola in una condizione subalterna rispetto al marito, che nel frattempo perseguiva senza ostacoli la sua ascesa verso il successo. Quello stesso marito di cui era stata collega e compagna di studi, che aveva aiutato risolvendo problemi matematici e mettendo per iscritto in saggi tecnici le tesi elaborate insieme durante notti insonni? Cosa succede se si passa dall’avere un ruolo chiave nella vita professionale ed emotiva di un marito che si stima e ammira e da cui ci si sente valorizzate, ad essere una semplice donna di servizio alla quale vengono imposte condizioni terribili e umilianti, che si è costrette ad accettare per avere la sicurezza del mantenimento per sé e i propri figli, non avendo un lavoro e una indipendenza che possa consentire di scegliere diversamente? In quale abisso ci si sente inghiottite quando l’illusione di essere con il proprio consorte Ein Stein, “una roccia”, si infrange bruscamente sotto il peso di un tradimento e di un ripudio incurante e completamente privo di gesti di affetto e riconoscenza? E quanta responsabilità si ha nei confronti di un simile destino?
Con una scrittura che ricalca il flusso discontinuo e martellante dei pensieri generati dall’abbandono, dal rifiuto, dalla sostituzione e soprattutto da una tremenda solitudine, Slavenka Drakulić ricostruisce, attraverso cinque capitoli che portano nel titolo i nomi dei luoghi in cui è costretta la misera esistenza di Mileva, ossia la cucina, il treno (che la porterà lontano da Albert), l’ospedale, il balcone e il sanatorio, l’ultima parte della vita della ex moglie di Einstein, durante gli anni che vanno dal 1914 al 1933. Lo stile tipico del flusso di coscienza e del dialogo interiore è ben reso dalla traduzione di Estera Miočić
La narrazione prende spunto dalle lettere che Mileva e Albert si scambiarono durante quegli anni e che consentono alla scrittrice di provare ad immaginare quali possano essere stati i pensieri più reconditi di Mileva, alle prese con un dolore che la annienta nell’intimo, intriso di sensi di colpa per aver deluso le aspettative del padre, per non aver saputo “essere all’altezza” delle proprie aspirazioni, carico di tutta la rabbia della frustrazione e della vergogna per la propria condizione, e che per di più, deve saper tenere a bada, in quanto si deve preoccupare soprattutto della salute dell’ultimo figlio, Eduard, affetto da schizofrenia, come l’amata sorella Zorka.
Un dolore che esonda dal piano della narrazione e che si riflette nella forma delle frasi, spesso asciutte e caratterizzate da continui slittamenti dei tempi verbali. Del resto, il romanzo mette in scena il tempo soggettivo dell’interiorità, fatto di repentini mutamenti dal presente al passato, che riemerge attraverso frammenti di ricordi di momenti condivisi, delle parole che hanno dapprima innalzato e poi scaraventato vesso il basso la povera e inerme Mileva che è consapevole di una sola verità: non c’è carta che possa contenere il suo dolore.
Ringrazio @misstortellino e il bel progetto #indiebooks per avermi fatto scoprire questo libro!
Mileva Einstein. Teoria sul dolore
Solo che questa volta, come molte altre, Albert si era dimenticato che gli esseri umani funzionano diversamente dagli schemi teorici, che le parole possono avere delle conseguenze .