Skip to main content

Quali numeri contano davvero?

Stamattina su facebook ho visto che un'insegnante della scuola elementare del mio paese ha condiviso con piacere il post di uno psicologo, Elpidio Cecere, dal titolo paradigmatico: Il tuo futuro non è scritto in pagella. Il breve post era una riflessione sull'importanza, o meglio sulla scarsa importanza dei voti stampati sul pagellino scolastico.

Concordo pienamente con questa idea: non sono assolutamente quelli i numeri che contano nella vita di una persona. Con questo non voglio dire che la serietà e la costanza dell'impegno scolastico siano da prendere sotto gamba, anzi, ma non commettiamo l'errore di identificare i nostri bambini e i nostri ragazzi con quei numeri. Non è assolutamente detto che chi ha i voti migliori abbia una più alta garanzia di successo nella vita. Un'esistenza piena e felice non è necessariamente un percorso privo di fallimenti e cadute. Uno dei più importanti psicanalisti e intellettuali italiani del nostro tempo, il Professor Massimo Recalcati, ne ha tratto addirittura un libro: Elogio del fallimento, edito da Erickson nel 2013, frutto della trascrizione delle conversazioni che egli ha tenuto nelle più varie circostanze su questo tema che ritengo fondamentale in un momento in cui la società impone l'imperativo: sii un vincente, altrimenti non sei nessuno. Il fallimento non è contemplato in questa visione disumanizzante, anzi viene visto come un qualcosa da evitare a tutti i costi, come un virus. Ma senza fallimento non avviene alcun miracolo: nessuna rinascita è possibile senza una caduta, che orienti la nostra vita in una direzione che ci esprima al meglio. Solo una vita che lascia vivere un soggetto secondo le proprie migliori inclinazioni, secondo il proprio personale e singolare talento, può dirsi felice e piena. Questi sono i numeri che contano, quelle doti individuali che ciascuno di noi possiede, in maniera differente gli uni dagli altri, ma che aprono l'orizzonte vitale e fanno sì che ci si senta soddisfatti e realizzati, anche semplicemente facendo il panettiere, se è quello che ci fa sentire di fare qualcosa di buono e che ci fa stare bene.

Personalmente ho sempre vissuto il fallimento, fosse anche un mezzo voto in meno rispetto alla mia media brillante, come una tragedia, come se un numero potesse mettere in discussione di volta in volta il mio valore, non solo ai miei occhi impietosi e inflessibili, ma anche e soprattutto agli occhi degli altri. Ci sono voluti anni di lavoro su me stessa e credo di doverci riflettere ancora a lungo, per capire che non era così. Anzi ora riguardando indietro, rivivendo nel ricordo i miei anni scolastici, mi viene da dirmi: ma quanto eri sfigata!". Non avrebbe dovuto essere quella la modalità di affrontare ogni momento di verifica, come se in ogni prova si giocasse il tutto per tutto, come se in un numero si iscrivesse di volta in volta una sentenza sul mio futuro. Adesso sono certa che i miei insegnanti erano molto meno pretenziosi di quanto lo fossi io verso me stessa. Avrei vissuto molto meglio se mi fossi concessa il lusso di sbagliare a volte, la possibilità di vivere bene anche se non raggiungevo il massimo. Un voto poteva decretare il mio successo o insuccesso? Qual è il criterio per misurare il valore di una vita? Esistono parametri oggettivi? Non credo proprio!

Oggi che sono passata attraverso una serie di fallimenti e che finalmente li ho elaborati nel giusto modo, oggi che sono madre di un bimbo di quasi otto anni, mi sento di dire che non sono i risultati scolastici o gli elogi degli altri che garantiscono una vita felice. Certo, quelli aiutano, ma ciò che più conta è essere se stessi e accettarsi, con tutti i propri limiti e le proprie imperfezioni, perché sono proprio quelle a distinguerci e a renderci meravigliosamente umani. Per questo ho scelto di insegnare a mio figlio a prendere seriamente l'impegno scolastico, ma preferisco non dare eccessiva importanza ai suoi voti. Lui se la cava molto bene, ma quando non mi porta a casa una verifica impeccabile mi dice: "mamma, tutti possono sbagliare, ricordatelo!". Di fronte alla saggezza di un così grande ammonimento, mi rendo conto che è lui che mi insegna a vivere meglio e sapere che si accetta anche quando sbaglia mi fa ben sperare, perché se si perdona può sempre migliorarsi e se non pretende sempre il massimo saprà buttarsi nelle situazioni senza prendersi eccessivamente sul serio. Lui si vive bene e questo è il numero più grande che qualcuno possa avere.


Ti è piaciuto questo articolo?

Diffondilo grazie alla condivisione!